25 maggio 2016

Insomnia



La notte era senza dubbio il momento peggiore.
Scivolava via lenta come il catrame, solitaria come la porzione di cielo tra due stelle.
Spesso, durante quelle notti maledette, mi sedevo tra i cuscini del divano incassato sotto la finestra, restavo lì ore.
Quando ci litighi col sonno, tutto diventa estremamente lento, vieni scaraventata in una nuova dimensione temporale, ed in questa dimensione i grani che scorrono nelle clessidre non sono sottili e veloci come la sabbia, ma grossi e lenti come mattoni.
Per tutto il tempo la stanchezza ti avvinghia stretta nel suo abbraccio; non ha importanza se sei in piedi o stesa nel letto, sei stanca dentro, ed anche solo arrivare alla finestra è uno sforzo disarmante.
Quando finalmente ci arrivavo sotto la finestra, mi mettevo a sedere, portavo le ginocchia al petto e ci poggiavo sopra il mento. Restavo così ore a fissare le stelle, sperando che la loro luce potesse accendere qualcosa dentro di me e dissolverne le tenebre, immaginavo mondi al di là del nostro dove era ingiusto e vietato permettere che si potesse soffrire in quel modo.
Spiavo la luna nella sua irradiante maestosità, e nonostante sapessi che ella non brillava se non di luce riflessa, lo trovavo appassionante. Il sole donava ogni notte tutta la sua luce alla propria regina, ed ella sfoggiava orgogliosa al mondo la sua pallida bellezza. Ma come ogni gioco d'amore che si rispetti la luna spesso si nascondeva, così che noi tutti insieme al sole ne potessimo desiderare il ritorno scandito dalle settimane.

Non riuscivo mai ad ignorare lo schermo del cellulare per troppo tempo, il desiderio di controllare era più forte di me, mi dicevo di resistere e dimenticare, ma semplicemente non ne ero in grado.
"Visualizzato alle 02:37"
E nessuna risposta...
Davanti a me una lastra di sdrucciolevole indifferenza che cercavo inutilmente di risalire. Un ostacolo che aggredivo con la forza della disperazione e che mi lasciava senza forze e con i piedi a terra di fronte un altissimo obelisco.
Dopotutto a lui cosa importava?
Lui aveva dimenticato, girato angolo.
Io contro quell'angolo ci avevo sbattuto la testa e perso tutto, restando nella parte più buia del vicolo.

Le gocce che versavo nel bicchiere increspavano la superficie dell'acqua, una dopo l'altra versavo in quel liquido la speranza che questa maledizione potesse finire.
Era “sonno finto”, io ed il mio corpo lo sapevamo, e quel falso sonno non poteva sostituire il riposo autentico, quello che si ottiene solo con la pace del cuore.
Il mio posto è sempre questo alla finestra, a scrutare quel piccolo eppure infinito spazio tra due stelle, lì cerco di dimenticare e convincermi che le cose andranno meglio.


Stasera piove a dirotto, il cielo e le stelle sono nascoste, non sopporto di essere rinchiusa in questa stanza.
Ho bisogno di tempo per dimenticare, ed anche se il tempo scorre lento, anche questa tempesta passerà.
Abbasso con calma la maniglia fredda della porta, il vento che entra da fuori grida furioso e gelido, esco a piedi nudi sul vialetto, vengo investita dal torrente in piena che cade dalle nuvole.



Sento la pioggia colpirmi, tamburellare sulla mia pelle, fa freddo, tanto freddo…ma mi sento viva.



Nessun commento:

Posta un commento