8 giugno 2016

Il Volo dell'Ambizione

I passi del mostro scuotevano le pareti del labirinto e rimbombavano cupi tra gli angoli di quella prigione, la bestia cercava senza sosta le sue prede spinto dalla rabbia della disperazione, la pesante marcia ed il grido disumano gettavano il terrore nel cuore di chi ascoltava.
“Padre, la bestia è vicina” sussurrò Icaro a suo padre, in preda all'angoscia.
Dedalo era alle spalle di suo figlio, intento a completare le ali di cera che aveva costruito sulla sua schiena e che sperava con tutto il cuore che potessero portare entrambi in salvo.
“Figliolo, puoi stare tranquillo, questo posto è una mia creazione, non ci raggiungerà molto presto”.
Sicuro delle proprie capacità, lo scaltro Dedalo calmò così suo figlio ed ebbe tutto il tempo di completare la grandiosa bardatura alata su cui oramai lavorava da giorni.



Furono ore terribili quelle che seguirono il loro ingresso nel labirinto. Inizialmente, infatti, Dedalo ebbe difficoltà a destreggiarsi in quella trappola che egli stesso aveva magistralmente progettato, occorsero ore perché la memoria lo aiutasse a disegnare una piantina di quel posto maledetto.
E il mostro era sempre lì in agguato, la sua presenza si stagliava prepotente in tutte le direzioni, sembrava che fosse ovunque e dietro ogni angolo pronto ad attaccarli da un momento all'altro.
Il tradimento di Minosse fu però ciò che sconvolse e lasciò Dedalo furioso e carico di risentimento, quel miserabile vigliacco li aveva condannati a una pena peggiore morte...ma egli aveva sottovalutato un fatto: l’ingegno di un padre non ha limiti quando questi è adoperato per salvare la vita del proprio figlio.


Icaro seguì con attenzione le istruzioni del padre e, dopo aver stretto con decisione le cinghie che tenevano insieme le ali ai loro corpi, cominciò a scuotere le braccia cercando di prendere quota.
Non fu semplice per entrambi prendere dimestichezza con quell'invenzione che non aveva eguali nella storia dell’umanità, un portento che gli stessi dei avrebbero invidiato dall'alto dell’Olimpo, qualcuno di loro si sarebbe probabilmente strozzato di ambrosia vedendo due gracili umani prendere il volo come degli uccelli.
Ed effettivamente è quello che successe: padre e figlio riuscirono a fuggire da quell'intrigo di gallerie...volando.
La guardia di vedetta neanche riuscì a dare l’allarme, lo stupore fu tale che il grido gli morì in gola incapace com'era a decidersi cosa avrebbe dovuto comunicare agli altri soldati, come sarebbe mai riuscito a spiegare una simile visione?


L’aria del giorno era fresca e correva veloce sulla pelle.
Dedalo galleggiava in testa alla coppia, incerto nei movimenti e prudente nelle manovre.
Icaro fissava la figura paterna dinanzi a lui con un’ammirazione che gli gonfiava il petto e gli donava un senso d’infinita pace e felicità.
Erano vivi, erano liberi, liberi come nessun uomo era mai stato prima.
L’emozione crebbe nel cuore di Icaro ed egli si rese conto solo in quel momento di stare davvero volando!
Volava, come un falco! Si librava libero nel cielo, non c’erano più vincoli o barriere o legami che lo tenessero legato anche solo al terreno, poteva andare ovunque egli volesse, ovunque.
“Padre, queste sono senza ombra di dubbio il tuo capolavoro!
Padre! Guardaci! Stiamo volando!”
Dedalo sorrideva, nonostante lo sforzo del volo metteva alla prova le sue membra vecchie e stanche, era felice di sentire suo figlio tanto pieno di gioia dopo gli ultimi giorni trascorsi nell'oblio.
Purtroppo, quando si girò verso di lui per osservarlo sorridente, era ormai troppo tardi.


Icaro sapeva che il sole trasportato da Apollo rappresentava un pericolo mortale, ma la fuga dal pericolo, l’ebrezza del volo, la sensazione di quel potere senza eguali che gli scorreva nelle vene, insieme all'arrogante pensiero che nulla al mondo potesse fermarlo, lo accecò a tal punto che dimenticò ogni avvertimento paterno.
In segno di sfida contro l’intero genere umano e le divinità che lo governavano, solo per sfamare il mostro di arroganza che gli era nato dentro, egli provò a salire più in alto nel cielo, sempre più in alto, dove nessuno era mai arrivato prima, troppo in alto per un piccolo e semplice essere umano.
Commise l’errore fatale di volare troppo vicino al sole, così il calore intaccò la solidità delle sue vestigia, ne disciolse la cera e strappò via dal giovane quel grandioso potere di cui egli si stava così infinitamente inebriando.


Icaro sentì di aver improvvisamente riacquistato peso, quello della giustizia divina che lo trascinava pesante verso il suolo.
Il calore del sole si faceva sempre più lontano, aumentò così il freddo ed il fischio del vento si fece sempre più forte nelle sue orecchie.
Ammirava innanzi a se lo sconfinato cielo azzurro che si allontanava ad ogni secondo che passava, osservava suo padre che con la forza della disperazione si lanciava inutilmente nella sua direzione sperando di poterlo sottrarre a quella caduta senza fine.
E nonostante tutto egli sorrideva felice.

Icaro precipitava verso il mare con la sicurezza di essere stato, anche solo per pochi attimi, un dio tra tutti gli uomini; egli aveva visto, sentito e provato per breve un istante ciò che nessun uomo avrebbe mai potuto neanche sognare.
Il suo ultimo pensiero andò al padre che lo inseguiva disperato “...perdonami padre se non ho seguito i tuoi consigli”


E lo schiocco sordo dell’acqua pose fine ai suoi giorni.



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